Onorevoli Colleghi! - La richiesta di «dimissioni firmate in bianco» al momento dell'assunzione, ovvero nel momento in cui il rapporto di forza tra i contraenti è a favore del datore di lavoro, è una pratica vessatoria che mette la lavoratrice e il lavoratore nell'impossibilità di far valere i propri diritti e la propria dignità, pena la certezza di un licenziamento in tronco, ammantato dalla finzione della volontarietà.
      Tale pratica riguarda in particolare le donne, ma non è un fenomeno esclusivamente di genere ed è legata anche a fenomeni fiscali: si usa per esempio al fine di sgravare l'impresa dal pagamento dei periodi di assenza dal lavoro per imprevisti quali infortuni o malattia.
      Secondo i dati forniti dagli uffici vertenza della CGIL, ogni anno circa 1.800 donne chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie.

 

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Purtroppo si contano in poche decine i casi in cui l'onere probatorio (che è in capo alla lavoratrice) si traduce in una prova (scritta o testimoniale) in grado di rendere nullo l'atto di cessazione del rapporto. Un'indagine del 2002, svolta dal Coordinamento delle donne delle ACLI, quantifica in almeno il 25 per cento le false dimissioni volontarie (dati «Dimissione per maternità. Storie e fatti», dossier ACLI 2003), connesse quasi sempre a maternità. È opportuno citare la ricerca «Maternità, lavoro, discriminazioni», pubblicata in volume da Rubettino editore e svolta dall'Area ricerche sui sistemi del lavoro dell'ISFOL su incarico dell'Ufficio nazionale della consigliera di parità. II lavoro si avvale, tra le molte fonti utilizzate, di una inedita indagine ISFOL PLUS, condotta su un campione, rappresentativo per area geografica, di 25.000 donne di età compresa tra i quindici e i sessantaquattro anni per analizzare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro rispetto al tema della maternità. Nella ricerca si scrive testualmente: «diverse sono anche le forme di mobbing a seconda del genere: ad esempio l'esclusione delle donne da progetti importanti; la richiesta, più o meno velata, dei datori di lavoro che invitano a posticipare la scelta di maternità o comportamenti a vario titolo scorretti di questi ultimi, che arrivano a fare firmare dimissioni in bianco». Purtroppo il fenomeno rimane prevalentemente sommerso.
      Il dispositivo proposto è volto a neutralizzare questa prassi.
      Si è pensato pertanto di vincolare la validità della dichiarazione di dimissioni volontarie all'utilizzo di appositi moduli usufruibili solo attraverso gli uffici provinciali del lavoro e le amministrazioni comunali, assicurando che gli stessi siano contrassegnati da codici alfanumerici progressivi e da una data di emissione che garantiscano la loro non contraffazione, e al tempo stesso l'utilizzabilità solo in prossimità della effettiva manifestazione della volontà del lavoratore di porre termine al rapporto di lavoro in essere. Se venisse accolta una siffatta soluzione, verrebbe meno la possibilità di estorcere al momento dell'assunzione la contestuale sottoscrizione di una possibile, postuma lettera di dimissioni volontarie.
      Al fine di tutelare realmente la lavoratrice e il lavoratore, evitando loro defatiganti procedure burocratiche, si è ritenuto necessario prevedere la possibilità di reperire tali moduli anche per via telematica tramite il sito INTERNET del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, così come si è ipotizzato il coinvolgimento dei patronati e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, secondo procedure disciplinate in apposite convenzioni definite dallo stesso Ministero.
      Questo provvedimento, pur se generale e rivolto all'intero mondo del lavoro, ha quindi particolari valenze anti-discriminatorie a favore di un diritto sacrosanto quale la maternità o la conservazione del posto a fronte di malattie e infortuni. Un valore che trova ampio riconoscimento giuridico tanto nell'ordinamento europeo, quanto in quello italiano, come sancito dall'articolo 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dagli articoli 35 e 37 della Costituzione, cui fanno riscontro l'articolo 9 dello statuto dei lavoratori, la legge 8 marzo 2000, n. 53, volta proprio ad affermare e assicurare la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari, e il testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in cui sono state accorpate le misure a tutela della maternità della medesima legge n. 53 del 2000 con quelle «storiche» della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e in particolare l'articolo 55, comma 4, in materia di dimissioni della lavoratrice madre.
 

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